L’esperienza del tragico nella storia

Testi tratti dalla relazione di Don Rinaldo Ottone in occasione del Seminario del percorso FARE PACE

La giustizia nella cultura occidentale è spesso raffigurata con l’immagine della bilancia: c’è giustizia quando i due piatti della bilancia sono in equilibrio. In questo modo si realizza la pace.

Praticare la giustizia darà pace,
onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre.


Is 32,17

Cos’è la Pace? Cos’è la giustizia?

Vogliamo approcciare il tema della giustizia da una prospettiva insolita, ma vitale: dal punto di vista degli affetti, della “giustizia degli affetti”.

Quando parliamo di affetti pensiamo a qualcosa di sdolcinato… ma se al posto di affetti, dicessimo passioni? Gli affetti, le passioni, sanno pensare?

Della serie: Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce. Ma non solo…

La sfida è pacificare pensare e sentire, i due piatti della bilancia, perché la giustizia sia frutto di una ragione affezionata. La giustizia sia frutto di affetti, di passioni che imparano a pensare.

Tutti noi qui ci dichiariamo per la pace, ma quando il gioco si fa duro, qual è la logica che prevale? Quale logica pesa di più?

Queste domande hanno radici tanto antiche, da affondare nell’Antica Grecia.

Tucidide, storico e militare ateniese, ha raccontato in 8 libri quella che era considerata da tutta la civiltà greca “La Guerra”, cioè la Guerra del Peloponneso, combattuta nel V sec per trent’anni, tra le potenze militari del tempo, Sparta e Atene. Grazie a questo racconto storico, comprendiamo che la logica del nostro odierno “pensare occidentale” in tema di guerra, giustizia e pace, trae da lì la sua origine.

Nell’orizzonte ampio di questa guerra, la prima che coinvolse l’intero bacino del Mediterraneo, ci furono due episodi, che lo storico Tucidide riporta, che ci aiutano ad illuminare proprio il tema della giustizia: cosa pesa sulla bilancia, per fare la guerra o la pace?

Sparta (blu nella cartina): aveva 2 re che si controllavano a vicenda e una oligarchia di 28 saggi. Loro combattevano: questo era il loro unico lavoro. Selezionavano i migliori, e combattevano. Tutto il resto, lo facevano gli schiavi. Il territorio spartano era compatto, nella penisola del Peloponneso.

Atene (rosso nella cartina): patria della democrazia, in cui si votava per alzata di mano. Ma: votavano solo i maschi e i cittadini di Atene. No gli schiavi. Esportavano la democrazia con la forza.

Atene si sviluppa sempre più come una potenza marittima: da una costa all’altra del mare Egeo, tutte le città fanno parte dell’impero di Atene.

Solo la piccola isola di Melo vuol restare neutra, così com’è sempre stata fin dalle sue origini di coloni spartani. L’isola è amica di tutti e nemica di nessuno: si rifiuta di aderire alla lega delio-attica, che sta espandendo il suo dominio, e di pagare le tasse per il mantenimento dell’esercito ateniese nella guerra contro Sparta.

Questa neutralità rappresenta un insulto all’egemonia degli Ateniesi che dopo una spedizione “diplomatica” per imporre la resa ai Meli con la forza della persuasione delle parole, invadono l’isola con la forza delle armi, trucidando tutti gli uomini e deportando donne e bambini.

Dal dialogo dei Meli e degli Ateniesi, libro V di Tucidide

Meli: “E che noi restando in pace fossimo amici invece che nemici, ma alleati di nessuna delle due parti, non l’accettereste?

Ateniesi: “No, perché la vostra ostilità non ci danneggia tanto quanto la vostra amicizia, manifesto esempio per i sudditi della nostra debolezza, mentre l’odio lo è della nostra potenza.

Meli: “…voi, distogliendoci dal fare appello alla giustizia, ci volete indurre a servire alla vostra utilità, bisogna pure che noi, qui, a nostra volta, cerchiamo di persuadervi, dimostrando qual è il nostro interesse e se per caso non venga esso a coincidere anche con il vostro. (…) Ordunque, se voi affrontate così gravi rischi per non perdere il vostro predominio e quelli che ormai sono vostri schiavi tanti ne affrontano per liberarsi di voi, non sarebbe una grande viltà e vergogna per noi, che siamo ancora liberi, se non tentassimo ogni via per evitare la schiavitù?”.

Ateniesi: “No; almeno se voi deliberate con prudenza: poiché questa non è una gara di valore tra voi e noi, a condizione di parità, per evitare il disonore; ma si tratta, piuttosto, della vostra salvezza, perché non abbiate ad affrontare avversari che sono di voi molto più potenti”.

Meli: “Per noi cedere subito significa dire addio a ogni speranza: se, invece, ci affidiamo all’azione, possiamo ancora sperare che la nostra resistenza abbia successo”.

Ateniesi: “La speranza, che tanto conforta nel pericolo, a chi le affida solo il superfluo porterà magari danno, ma non completa rovina. Ma quelli che a un tratto di dado affidano tutto ciò che hanno (poiché la speranza è, per natura, prodiga) ne riconoscono la vanità solo quando il disastro è avvenuto. Perciò, voi che non siete forti e avete una sola carta da giocare, non vogliate cadere in questo errore. Non fate anche voi come i più che, mentre potrebbero ancora salvarsi con mezzi umani, abbandonati sotto il peso del male i motivi naturali e concreti di sperare, fondano la loro fiducia su ragioni oscure: predizioni, vaticini, e altre cose del genere, che incoraggiano a sperare, ma poi traggono alla rovina”.

Meli: “Abbiamo ferma fiducia che, per quanto riguarda la fortuna che procede dagli dèi, non dovremmo avere la peggio, perché, fedeli alla legge divina, insorgiamo in armi contro l’ingiusto sopruso.”

Ateniesi: “Se è per la benevolenza degli dèi, neppure noi abbiamo paura di essere da essi trascurati; poiché nulla noi pretendiamo, nulla facciamo che non s’accordi con quello che gli dèi pensano degli uomini e che gli uomini stessi pretendono per sé. Gli dèi, infatti, secondo il concetto che ne abbiamo, e gli uomini, come chiaramente si vede, tendono sempre, per necessità di natura, a dominare ovunque prevalgano per forze. Questa legge non l’abbiamo istituita noi , non siamo nemmeno stati i primi ad applicarla; così, come l’abbiamo ricevuta e come la lasceremo ai tempi futuri e per sempre, ce ne serviamo, convinti che anche voi, come gli altri, se aveste la nostra potenza, fareste altrettanto. Da parte degli dèi, dunque, com’è naturale, non temiamo di essere in posizione di inferiorità rispetto a voi.”

Ateniesi: “Mentre dicevate di voler deliberare per la vostra salvezza, nulla in così lungo colloquio avete ancora detto, che possa giustificare in un popolo la fiducia e la certezza che esso verrà salvato dalla rovina: la vostra massima sicurezza è affidata a speranze che si volgono al futuro; le forze di cui al momento disponete non sono sufficienti a garantirvi la vittoria su quelle che, già ora, vi sono contrapposte. Darete, quindi, prova di grande stoltezza di mente, se anche dopo che ci avrete congedati, non prenderete qualche altra decisione che sia più saggia di queste. Poiché non dovrete lasciarvi fuorviare dal punto d’onore che tanto spesso porta gli uomini alla rovina tra pericoli inevitabili e senza gloria. (…) Da questo errore voi vi guarderete, se intendete prendere una buona decisione; e converrete che non ha nulla di infamante il riconoscere la superiorità della città più potente di Grecia, che ha propositi di moderazione; diventarne alleati e tributari, conservando la sovranità nel vostro paese. Dato che vi si offre la scelta tra la guerra e la vostra sicurezza, non ostinatevi nel partito peggiore: il massimo successo arriderà sempre a quelli che si impongono a chi ha forze uguali, mentre con i più forti si comportano onorevolmente e quelli più deboli trattano con moderazione e giustizia. Riflettete, dunque, anche quando noi ci ritireremo; ripetetevi spesso che è per la patria vostra che deliberate; che la patria è una sola, e la sua sorte da una sola deliberazione sarà decisa, di salvezza o di rovina.”

Meli: “Noi, o Ateniesi, non la pensiamo diversamente da prima; né mai ci indurremo a privare della sua libertà, in pochi momenti, una città che ha già 700 anni di vita, ma, fidando nella buona sorte che fino ad oggi, con l’aiuto degli dei, l’ ha salvata e nell’appoggio degli uomini, specie di Sparta, faremo di tutto per conservarla. Vi proponiamo la nostra amicizia e neutralità, a patto che vi ritiriate dal nostro paese, dopo aver concluso degli accordi che diano garanzia di tutelare gli interessi di entrambe le parti”.

Ateniesi: “A quanto pare, dunque, da queste decisioni, voi siete i soli a considerare i beni futuri come più evidenti di quelli che avete davanti agli occhi; mentre con il desiderio voi vedete già tradotto in realtà ciò che ancora è incerto e oscuro. Orbene, poiché vi siete affidati agli Spartani, alla fortuna e alla speranza, e in essi avete riposto la fiducia più completa, altrettanto completa sarà pure la vostra rovina”.

Questo racconto rimase nel cuore degli Ateniesi per la crudezza che l’esercito ateniese mostrò contro i Meli. Tucidide per questo vi ha dedicato così tanto spazio: gli Ateniesi persero la guerra del Peloponneso, sconfitti da Sparta (404 a.C) alleatasi con i Persiani; di fronte alla sconfitta tutti si ricordavano di quello che era stato compiuto contro i Meli un decennio prima (416 a.C)

Ciò che ha prevalso e ha pesato sulla bilancia della giustizia è il principio della forza, prima come poi.

Ci fu un antecedente, narrato nel III libro della Guerra del Peloponneso da Tucidide.

Siamo nel 428 a.C., quarto anno di guerra: La città di Mitilene dell’Isola di Lesbo non vuole più pagare i tributi, aumentati, all’esercito della lega delio-attica. Instaura un regime oligarchico e si ribella.

L’esercito ateniese sopprime la rivolta: conquisterà Mitilene prelevando gli oligarchi dall’isola e portandoli ad Atene. Atene deve decidere: che fare con questi oligarchi? Si convoca la polis per il giudizio: per alzata di mano si decide di uccidere tutti i maschi, e deportare donne e bambini (Ciò che si deciderà anche dopo con i Meli).

Da Atene parte subito una nave perché ci sia esecuzione immediata del verdetto a Mitilene.

Cosa accadde?

Il giorno dopo alcuni dicono che hanno esagerato. Tucidide annota che la gente per strada lo diceva apertamente. Convocano di nuovo la polis, e ricominciano a discutere. Il dibattito si prolunga, discutono, votano, e vincono i moderati. Decidono di uccidere solo gli oligarchi.

Che fare? Mandiamo subito una nave per bloccare il verdetto di uccisione che stava arrivando all’isola.

E’ follia! Come raggiungere la nave partita con un giorno di anticipo?

Tucidide annota che la gente si recava spontaneamente al porto incoraggiando di remare più forte che si potesse, chi dava soldi…

Due navi si rincorrono nel mare, con due verdetti…

Tucidide annota che quella notte i rematori non dormirono. Invece di solito ad un certo unto ci si riposa: quella notte remarono e basta. Le navi erano navi triremi, con rematori a tre livelli. C’erano moltissimi rematori… quanta gente e quanti viveri bisognava avere!

La prima nave era già arrivata, scesero e comunicarono il verdetto. Mentre si preparavano ad uccidere tutti i maschi, vedono all’orizzonte una nave in arrivo. Tutti si fermano ad attendere il suo arrivo…

Perché?

Aspettano la nave: quella nave vorrà dire salvezza per molti. 1000 oligarchi saranno uccisi, 10000 non lo saranno – gli altri maschi. 20000 non sono deportati – donne e bambini.

Conclusioni

La prima nave rappresenta le ragioni della guerra giusta, quella della forza, più impulsiva, la prima cosa che ti vien su. Più razionale, perché garantita con la forza.

La seconda nave rappresenta le ragioni della giustizia degli affetti, più lenta, meno impulsiva. E’ immagine della fragilità della democrazia…

Gli affetti lavorano sempre il giorno dopo, più lenti, più emotivi. Sono più deboli? Più femminili? Meno razionali?

  • La giustizia dipende dalla forza lucida della ragione, o dalle ragioni deboli e instabili degli affetti, o da tutte e due?
  • E dato che entrambe le parti, sia credenti che non credenti, tendono ad accaparrarsi i favori della divinità, chiediamoci: ma il Dio vivo e vero, se esiste, da che parte sta?

Monache Agostiniane
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Quando un conflitto segna un cambiamento d’epoca

Testi tratti dalla relazione di Alberto Conci in occasione del Seminario del percorso FARE PACE

In tanti modi e da diverse prospettive si può approfondire ed analizzare il tema della guerra.

Noi scegliamo di affrontarlo dal punto di vista dei bambini.

Lei è Elya, una bambina ucraina di 6 anni morta di paura per i bombardamenti il 12 gennaio 2023. I suoi occhi ci accompagneranno.

La domanda è: C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? È ormai risaputo che, col progredire della scienza moderna, rispondere a questa domanda è divenuto una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta, eppure, nonostante tutta la buona volontà, nessun tentativo di soluzione è purtroppo approdato a qualcosa.


Albert Einstein, 1932, lettera a Sigmund Freud

La Chiave

Nel 2023 riconosciamo che non è cambiata la sostanza del problema. Una cosa è cambiata però: la capacità distruttiva, che oggi è senza precedenti. Un tema di riflessione si impone, dentro l’orizzonte della guerra: quello della violenza.

In uno studio recente sulla Germania Nazista, un dato interessante -anche se marginale – era sul posto che ha la distruzione.

Perché abbiamo bisogno di distruggere? Che senso ha?

Era uno studio marginale sulla distruzione del ghetto di Varsavia e la successiva distruzione della città di Varsavia, che viene rasa al suolo per chilometri e chilometri.

Come se fossimo a Milano in piazza Duomo, e salissimo sul cumulo di macerie alto 5 metri, e ci rendessimo conto, a perdita d’occhio, che la cosa più alta che vediamo sono cumuli di macerie alti 5 metri. Fu un’azione senza senso: non solo si distrusse, ma si consumarono litri di benzina per incendiare ciò che si era distrutto.

Perchè?

Già Nel 1970, cinque anni prima di morire, Hannah Arendt pubblicava un piccolo saggio, Sulla violenza.

HANNAH ARENDT

Ella coglieva un elemento di novità, cioè la accresciuta capacità distruttiva sul piano tecnologico.

Lo sviluppo tecnico degli strumenti della violenza ha ora raggiunto un punto in cui nessun obiettivo politico potrebbe ragionevolmente corrispondere al loro potenziale distruttivo o giustificarne l’impiego effettivo in un conflitto armato. Perciò la guerra – da tempo immemorabile spietato arbitro finale delle dispute internazionali – ha perso gran parte del suo fascino. L’apocalittica partita a scacchi fra le superpotenze, cioè fra coloro che si muovono sul piano più elevato della nostra civiltà, si gioca secondo la regola per cui se uno dei due ‘vince’ è la fine per entrambi; è un gioco che non assomiglia a nessuno dei giochi di guerra che lo hanno preceduto. Il suo scopo ‘razionale’ è la deterrenza, non la vittoria, e la corsa agli armamenti, che non è più una preparazione alla guerra, può essere giustificata soltanto in base alla tesi che un potenziale di deterrente sempre maggiore è la garanzia di pace. Alla domanda se e come saremo mai in grado di districarci dall’ovvia insania di questa posizione, non c’è risposta

HANNA ARENDT – SULLA VIOLENZA

Risuona la domanda di Romano Guardini, che nel 1951 di fronte al potere tecnologico e alla sua distruttività si interrogava non tanto sul governo di questo potere, ma per lui la grande domanda era:

Come restare uomini governando questo potere”?
ROMANO GUARDINI

Cosa succede dopo questa analisi?

1989

Nel novembre dell’89 cade il muro di Berlino e viene approvata nelle Nazioni Unite la Dichiarazione sulla convenzione dei diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza (il documento più ratificato di tutto il pianeta).

Tuttavia…

Quello che è accaduto dopo il 1989 possiamo definirlo così: la pervasività planetaria della violenza armata. Il periodo precedente all’89 è stato un periodo nel quale la violenza armata, che eppure era presente in tutto il mondo, era localizzata, per la pressione che esercitavano i due grandi blocchi della Guerra Fredda. La violenza localizzata era accesissima, ma non c’era una pervasività globale con la percezione che tutto potesse esplodere da un momento all’altro.

Il filosofo tedesco Hans Magnus Enzensberger scriverà nel 1993 nel suo libro Prospettive sulla guerra civile.

Quel che colpisce in tutti i casi è, da un lato, il carattere autistico degli aggressori e dall’altro la loro incapacità di distinguere fra distruzione e autodistruzione. Nelle guerre civili odierne è svanita ogni legittimazione. La violenza si è liberata completamente da motivazioni ideologiche.


HANS MAGNUS ENZENSBERGER

Sotto la forte impressione della guerra nella ex Jugoslavia di fronte alla quale l’Europa appariva impotente, egli sosteneva che il passaggio fondamentale che si stava vivendo era quello di una progressiva estensione della violenza che avrebbe avvelenato anche l’Europa e l’Occidente. Secondo lui le guerre che esplodono dopo la caduta del muro tendono ad essere nichiliste: guerre che escono dal conflitto ideologico e che non danno risposta, in cui le macerie che restano sono il risultato tragico della distruzione dell’altro, ma anche della propria autodistruzione.

Samuel Huntington (S. P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 2000) politologo statunitense, nel 1996 conierà l’espressione “scontro di civiltà“, ad indicare una prospettiva dalla quale egli non vede vie d’uscita a breve scadenza, ma piuttosto un progressivo inesorabile scivolamento verso uno scontro globale sempre più accentuato.

Oggi questa lettura dello “scontro di civiltà” non potrebbe essere letta a rovescio, cioè che stiamo in fondo costruendo una civiltà dello scontro?

E la chiesa?

Possiamo riconoscere nella riflessione della chiesa un pacifismo di fondo, che dovrebbe imporre a chi si dice cristiano di mettere in atto “l’essere costruttore di pace?

Le tappe: dalla guerra alla pace…
  • Nel 1917 Papa benedetto XV fece un appello per la fine della guerra, dichiarandola inutile strage, e fece questo appello nel momento in cui la strage era in atto.

  • Pio XI, con le sue due encicliche a denuncia dei totalitarismi: Con ardente preoccupazione – Mit brennender Sorge – 14 marzo 1937 – Fu scritta in tedesco, perché fosse compresa dai tedeschi, come denuncia dell’idolatria nazista. Il papa scrive pescando testi cristologici di una piccola chiesa luterana che decide di resistere, e che sarà distrutta, mandandoli in prima linea. Questa piccola chiesa vedeva tra i suoi fedeli personaggi quali Barth e Bonhoeffer. Divini redemptoris – 19 marzo 1937 – scritta denunciando il comunismo russo.

  • Pacem in terris – Paolo VI nel 1963, dopo la crisi di Cuba. Enciclica che non si rivolge più solo ai cristiani, ma a tutti gli uomini

  • 1968 – Paolo VI – Inaugurazione delle Giornate della Pace – 1 gennaio

Dalla terza guerra mondiale combattuta a pezzi alla terza guerra mondiale: il grido di Papa Francesco.

Nell’ottobre del 2014 al sinodo dei movimenti popolari Papa Francesco afferma:

Stiamo vivendo la terza guerra mondiale, ma a pezzi. Ci sono sistemi economici che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle case distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate. Quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore!

PAPA FRANCESCO

Meno di un mese dopo, alla domanda del giornalista giapponese Hiroshi Ishida, nel viaggio di ritorno dalla Turchia, il 20 novembre 2014, Papa Francesco aggiungeva:

L’energia atomica. È vero: l’esempio di Hiroshima e di Nagasaki… L’umanità non ha imparato, non ha imparato. È incapace di apprendere l’elementare, in questo argomento. Dio ci ha dato il creato perché noi di questa ‘in-cultura’ primordiale facessimo ‘cultura’. La possiamo portare avanti. E l’uomo l’ha fatto, ed è arrivato anche all’energia nucleare, che può servire per tante cose, ma la utilizza anche per distruggere il creato, l’umanità. E questa diventa una seconda forma di ‘in-cultura’: quell’in-cultura primordiale che l’uomo doveva trasformare in cultura diventa un’altra in-cultura, la seconda. E questa è un’in-cultura – non voglio dire la fine del mondo – ma è un’in-cultura terminale. Poi si dovrà ricominciare da capo, ed è terribile come le vostre due città hanno dovuto ricominciare daccapo

PAPA FRANCESCO – Conferenza stampa dopo il viaggio in Turchia, 20 novembre 2014

Nel discorso al corpo diplomatico del 9 gennaio 2023 la panoramica è a raggio totale sulle guerre in corso:

Oggi è in corso la terza guerra mondiale di un mondo globalizzato…

PAPA FRANCESCO

La consapevolezza nella chiesa è cambiata: non siamo di fronte a uno dei tanti passaggi, ma c’è stato un passaggio qualitativo.

Le parole di Bonhoeffer


Il giusto soffre per causa del mondo. L’ingiusto no. Il giusto soffre per certe cose, che per altri sono ovvie e necessarie. Il giusto soffre per l’ingiustizia, per l’assurdità e la stortura di quanto accade nel mondo. Soffre per la distruzione dell’ordine divino del matrimonio e della famiglia. Ne soffre non solo perché questo significa per lui una privazione, ma perché gli riconosce qualcosa che non è divino. Il mondo dice: le cose vanno così, così sarà e deve essere sempre. Il giusto dice: non dovrebbe essere così, è contro dio. In questo si riconoscerà il giusto: per il suo soffrire per il mondo.


D. Bonhoeffer, dal carcere, 8 Giugno 1944

Monache Agostiniane
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Summer School “Sorella PACE”

Giovani. Percorsi per una fraternità possibile

Monache Agostiniane di Pennabilli – Dal 2 al 4 settembre 2022

Sorella pace è il nostro sogno e il nostro impegno di donne e uomini che credono nella fraternità e giorno dopo giorno, pur nella fatica, cercano di realizzarla, nella convinzione che sia la nostra identità più profonda.

In questi tempi, inquietati da venti di guerra, crediamo che la pace abbia bisogno di nuovi sostenitori, persone che con i mezzi a loro disposizione, si danno da fare per costruire relazioni, famiglie, comunità, istituzioni che vivano in pace e siano disposti a fare la loro parte per promuoverla. Da qui nasce la Summer School Sorella Pace che si svolgerà nel Monastero Agostiniano di Pennabilli dal 2 al 4 settembre 2022.


Il programma della Summer School


Venerdì 2 settembre: In ascolto della realtà

Leggere i cambiamenti in atto

MATTINO: I GIOVANI E LA PACE
  • 9:30 – Accoglienza.
  • 10:00 – Pace e guerra: cosa pensano i giovani? Dibattito condotto da Paola Bignardi, Pedagogista.
POMERIGGIO: TUTTO è CAMBIATO
  • 15:00 – Leggere i cambiamenti politici, economici e sociali. In dialogo con Don Matteo Prodi, Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna.
SERA: UN FILM PER LA PACE
  • 21:00 – Cineforum

Sabato 3 settembre: In ascolto della Parola

Percorsi biblico-simbolici a partire
dall’enciclica Fratelli tutti

MATTINO: IL SOGNO E LA TUNICA
  • 9:00 – Percorso guidato da Don Davide Arcangeli e Don Marco Casadei. ISSR A. Marvelli – Diocesi di Rimini e San Marino Montefeltro.
POMERIGGIO: LA CASA SULLA SOGLIA
  • 15:00 – Dalla Rupe al Roccione. Con Don Davide Arcangeli e Don Marco Casadei.
SERA: ALLA FONTE
  • 21:00 – Serata di contemplazione e preghiera – Piazza V. Emanuele II.

Domenica 4 settembre: Parole di Pace

Il vocabolario della fraternità

Testimoni di Pace
MATTINO: PAROLE DI PACE
  • 9:00 – Scriviamo insieme le nostre parole di pace. Realizzazione di un prodotto culturale collettivo. Attività guidata da Paola Bignardi.
  • 12:00 – Celebrazione Eucaristica presieduta da S.E. Mons. Andrea Turazzi.

ISCRIZIONI: compila il modulo sottostante



Iniziativa promossa dalle Monache Agostiniane di Pennabilli
con la collaborazione di

INFORMAZIONI

Quota di iscrizione: 20 euro.
Le possibilità per l’alloggio saranno fornite al momento dell’iscrizione.

Esposizione sul Salmo 143 di Sant’Agostino

Dillo con tutto il cuore, dillo con fiducia illimitata, dillo senza titubazioni: Rimetti a noi come anche noi rimettiamo
Sant’Agostino

Benedetto il Signore mio Dio, che addestra le mie mani alla battaglia, le mie dita alla guerra. È la nostra voce, se siamo del corpo di Cristo. Benediciamo il Signore nostro Dio che addestra le nostre mani per la battaglia, le nostre dita per la guerra.

Andremmo facilmente per le lunghe se ci mettessimo ad elencare le varie specie di battaglie e guerre. È più facile farne l’esperienza che non la descrizione. Una guerra è ricordata dall’Apostolo: Non dovete combattere contro la carne e il sangue, cioè non contro uomini visibili dai quali, a vostro avviso, subite molestie. Non è contro costoro che dovete combattere, ma contro i principi e le potestà e i reggitori del mondo. E perché non intendessi per ” mondo ” il cielo e la terra, spiega le sue parole dicendo: Di queste tenebre. Intendi cioè non di quel mondo che fu creato ad opera di Lui – infatti sta scritto: E il mondo fu fatto per opera di lui -, ma di quel mondo che non lo ha conosciuto.

La lotta interiore.

Questa è una battaglia; un’altra è quella che ciascuno ha da sostenere con se stesso. Di questo tipo di guerra si leggeva or ora nella lettera dell’Apostolo: La carne ha brame contrarie a quelle dello spirito e lo spirito brame contrarie a quelle della carne, per cui non fate le cose che vorreste. Anche questa è una guerra grave e, per essere interiore, è più molesta. In questa guerra, chi è vincitore sconfigge con ciò stesso i nemici invisibili. Difatti il diavolo e i suoi angeli non tentano se non approfittando del dominio che su te esercita ciò che è carnale; e noi come facciamo a vincere dei nemici che sono visibili solo in quanto interiormente avvertiamo in noi dei moti carnali? È con questi [nemici] che lottiamo; son loro [i nemici] che battiamo. L’avarizia ci domina facendo leva sull’attaccamento al denaro. A quest’avarizia che in te fa da padrona il diavolo dall’esterno propone un guadagno fraudolento. È cosa ordinaria, del resto, che grossi guadagni non si realizzano se non frodando. Ecco dunque [il diavolo] dal di fuori venire a te e far delle proposte alla tua avarizia: avarizia che tu nel tuo interno non hai vinta né domata né assoggettata a te. A te, che sei come un combattente a lui assoldato, il demonio, organizzatore di gare perverse, propone la truffa e il guadagno, l’opera e il premio. Fa’ così e prenditi [tutto]! Se al contrario tu sei padrone della tua avidità di possesso, se questa non la fa da padrona nel tuo cuore, la avverti e la superi. È vero infatti che non ti è dato scorgere né il diavolo né le sue insidie, ma se sarai padrone della tua avarizia, subito avverti che dietro c’è l’altro a proporti e l’azione [cattiva] e il premio. Cosa ti propone il diavolo? La frode e il guadagno. Cosa ti propone Cristo? L’onestà e la corona. ” Fa’ [questo e questo] e prenditi [il compenso] “, ti dicono tutt’e due. Se tu sei, nel tuo intimo, un buon combattente, se non sei uno che è stato vinto dall’avarizia ma ha vinto l’avarizia, dai retta all’uno e sconfiggi l’altro. Sapendoli ben distinguere, dici: Da questa parte vedo l’azione [che ho da compiere] e la sua ricompensa; dall’altra vedo (come dire?) l’esca e l’amo. Non c’è infatti cosa che tu dica dentro te stesso che sfugga alla tua responsabilità. Sei un essere diviso contro te stesso, a causa del peccato. Hai in te stesso di che combattere, hai in te il nemico da debellare. Ma hai anche chi invocare, hai chi ti aiuterà nel combattimento, e ti coronerà dopo la vittoria. È colui che, quando non esistevi, ti ha chiamato all’esistenza.

Chiedi: Come vincerò? Eccotelo. L’Apostolo ti presenta una battaglia difficilissima, mostrandoti anche quanto sia faticoso o addirittura impossibile (se non comprendo male) riuscirne vincitori. Dice: La carne ha brame contrarie a quelle dello spirito e lo spirito brame contrarie a quelle della carne, per cui non fate quel che vorreste. Come mi comandi di vincere se lui può affermare: Voi non fate quel che vorreste? Mi chiedi come? Ricordati della grazia contenuta nel vaso pastorale, riponi la pietra scelta nel letto del fiume nel recipiente del latte. Sì! questo ti dico io, anzi te lo dice la stessa verità. È verissimo che tu non fai quel che vorresti per la lotta che la tua carne muove contro il tuo spirito. Se in tale battaglia presumessi di te, ti si dovrebbe avvisare, affinché non vadano in fumo le parole che hai ascoltate: Esultate in Dio nostro aiuto. Difatti, se tu da solo fossi in grado di adempiere tutta [la legge], non avresti bisogno del soccorritore, come viceversa, se tu con la tua volontà non prestassi alcun contributo, chi ti dà la riuscita non dovrebbe chiamarsi soccorritore, in quanto soccorritore è colui che aiuta chi già fa qualcosa. Osserva ancora le parole: La carne ha brame contrarie a quelle dello spirito e lo spirito brame contrarie a quelle della carne, sicché voi non fate quel che vorreste. Dopo averti costretto a guardarti in faccia, facendoti toccare con mano come da solo tu fallisci [la riuscita], immediatamente ti invia al soccorritore.

Tuo soccorritore, tuo sostegno, tua speranza è colui che addestra le tue mani alla guerra, le tue dita alla battaglia. Dice: Sono manifeste le opere della carne, e queste sono le fornicazioni, le impurità, l’idolatria, la lussuria, la magia, le contese, le inimicizie, le ubriachezze, le gozzoviglie e cose simili, riguardo alle quali vi predico, come già vi ho predetto che chi compie di tali cose non possederà il regno di Dio. Non coloro che lottano contro tali tendenze, quindi, ma coloro che ne eseguono le opere. Un conto è infatti lottare, un altro conto è vincere e un altro conto ancora è trovarsi in pace e nella quiete. Statemi attenti mentre vi illustrerò la cosa con qualche esempio. Ti si fa balenare l’idea d’un guadagno e quest’idea ti piace. Include la frode, è vero, ma il guadagno è veramente notevole. Nonostante l’attrattiva, tu non consenti. Osserva che battaglia: continuano le suggestioni, le pressioni e tu ti soffermi a deliberare. Ovviamente chi lotta è sempre in pericolo. Abbiamo visto la lotta, vediamo il resto. Uno s’è messo sotto i piedi la giustizia, pur di commettere la frode: è stato vinto. Un altro ha calpestato il guadagno per mantenersi fedele alla giustizia: è stato vincitore. Tre casi: io mi rattristo per colui che è stato vinto, temo per chi è ancora nella lotta, mi rallegro col vincitore. Consideriamo poi un istante questo vincitore. Forse che ha ottenuto su di sé un successo così assoluto che il denaro non lo lusinghi affatto o non susciti in lui alcun’attrattiva? Sarà un’attrattiva facile a superarsi, a disprezzarsi, un moto a cui non si consente, non solo, ma col quale non ci si degna di scendere in combattimento; tuttavia c’è sempre in fondo all’animo un certo qual pizzicorino di piacere. Tale sollecitazione (e, con essa, il nemico) non muove guerra né regna, tuttavia c’è e rimane nella carne mortale un qualcosa che [nell’eternità] non ci sarà più. Allora non ci sarà cosa alcuna che muova guerra o faccia solletico: tutto si acquieterà in [perfetta] pace.

Sei dunque in guerra; e siccome finché dura la guerra sei in pericolo, trovandoti appunto nel pericolo e nel cimento, di’ quanto segue: Mia misericordia. Non sarò vinto.

 Ecco il nemico ordire calunnie da obiettarci nel giudizio, ma non può ordirne di false perché il giudice non è tale da accettarle. Se la nostra causa si svolgesse di fronte a un giudice uomo, il nemico potrebbe ingannarlo con menzogne e rovesciare su di noi le sue false accuse. Siccome però la nostra causa si svolge dinanzi a un giudice infallibile, il nemico fa di tutto per allettarci a commettere il peccato, in modo d’avere qualche colpa reale da presentare contro di noi. Se quindi la nostra fragilità qualche volta cede di fronte ai suoi artifizi, passiamo subito alla confessione, che è un atto di umiltà, ed esercitiamoci nelle opere della misericordia e della pietà.

Ogni colpa viene cancellata se con cuore sincero e piena fiducia diciamo a colui che ci vede: Rimetti a noi come anche noi rimettiamo. Dillo con tutto il cuore, dillo con fiducia illimitata, dillo senza titubazioni: Rimetti a noi come anche noi rimettiamo. 

In conclusione, la vittoria sul nostro nemico è frutto delle opere di misericordia, che noi mai potremmo compiere se non avessimo in noi la carità. Quanto poi alla carità, noi non l’avremmo se non ci fosse stata donata ad opera dello Spirito Santo. È quindi lo Spirito colui che addestra le nostre mani alla battaglia, le nostre dita alla guerra; e pertanto è a lui che diciamo: Mia misericordia. Anche perché è da lui che riceviamo la facoltà di essere misericordiosi.

Sant’Agostino – Dall’esposizione sul Salmo 143, 5-6

La pace come cammino. E per giunta, cammino in salita

Uno scritto di Don Tonino Bello tratto da “Alla finestra la speranza”

A dir il vero, noi non siamo molto abituati a legare il termine «pace» a concetti dinamici. Raramente sentiamo dire: «Quell’uomo si affatica in pace», «lotta in pace», «strappa la vita con i denti in pace». Più consuete nel nostro linguaggio sono, invece, le espressioni: «Sta seduto in pace», «sta leggendo in pace», «medita in pace» e, ovviamente, «riposa in pace».
La pace, insomma, ci richiama più la vestaglia da camera, che lo zaino del viandante. Più il conforto del salotto, che i pericoli della strada. Più il caminetto, che l’officina brulicante di problemi. Più il silenzio del deserto, che il traffico della metropoli. Più la penombra raccolta di una chiesa, che una riunione di sindacato. Più il mistero della notte, che i rumori del meriggio.
Occorre, forse, una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un «dato», ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno. Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo.
La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale «vita pacifica». Non elide i contrasti. Espone al rischio di ingenerosi ostracismi. Postula la radicale disponibilità a «perdere la pace» per poterla raggiungere.
Dal deserto del digiuno e della tentazione fino al monte Calvario (salvo una piccola sosta sulla cima del Tabor), la pace passa attraverso tutte le strade scoscese della Quaresima. E quando arriva ai primi tornanti del Calvario, non cerca deviazioni di comodo, ma vi si inerpica fino alla croce. Si, la pace, prima che traguardo, è cammino. E per giunta, cammino in salita. Vuol dire, allora, che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi. I suoi percorsi preferenziali e i suoi tempi tecnici. I suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste.
Se è così, occorrono attese pazienti.
E sarà beato, perché operatore di pace, non chi pretende di trovarsi all’arrivo senza essere mai partito. Ma chi parte. Col miraggio di una sosta sempre gioiosamente intravista, anche se mai (su questa terra, s’intende) pienamente raggiunta,

Don Tonino Bello tratto da “Alla finestra la speranza”

Amare la Pace con tutte le forze

Dal Discorso 357 di Sant’Agostino
Buono, cattivo, volente, nolente, sempre mio fratello sei

È il momento questo di esortarvi ad amare la pace con tutte le forze di cui il Signore vi fa dono, e a pregare il Signore per la pace. La pace sia la nostra diletta, la nostra amica. Vi sia con essa indissolubile amicizia. Sia il suo abbraccio pieno di dolcezza.

Non è difficile possedere la pace. È, al limite, più difficile lodarla. Se la vogliamo lodare, abbiamo bisogno di avere capacità che forse ci mancano; andiamo in cerca delle idee giuste, soppesiamo le frasi. Se invece la vogliamo avere, essa è lì, a nostra portata di mano e possiamo possederla senza alcuna fatica.

Quelli che amano la pace vanno lodati. Quelli che la odiano non vanno provocati col rimprovero: è meglio cominciare a calmarli con l’insegnamento e con la strategia del silenzio. Chi ama veramente la pace ama anche i nemici della pace. Facciamo un esempio: tu che ami questa luce visibile non ti adiri con i ciechi ma li compiangi. Ti rendi conto di quale bene tu godi, di quale bene essi sono privi e ti appaiono degni di pietà. Davvero non li condanneresti, anzi, se ne avessi la possibilità, che so io, una capacità medica, o anche un farmaco utile, ti affretteresti a far qualcosa per risanarli.

Così, se ami la pace, chiunque tu sia, abbi compassione di chi non ama quello che tu ami, di chi non possiede quello che possiedi tu. Facciamo in modo di aiutare con ogni mezzo i malati d’occhi, con ogni sforzo, con ogni tentativo: anche loro malgrado, anche se resistono alla cura, e saranno felici quando avranno riacquistato la vista! Supponi che il malato si irriti con te. Non stancarti di aiutarlo standogli vicino.

Se ami, tieni, possiedi la pace, puoi invitarne quanti vuoi alla partecipazione di questo possesso. Anzi, i suoi confini si allargano quanto più cresce il numero di coloro che la posseggono. Una casa terrena non contiene più di un certo numero di abitanti. In quanto alla pace essa cresce in proporzione del numero di chi ne usufruisce.

Che cosa buona è amare! Amare è già possedere. E chi non vorrebbe veder crescere ciò che ama? Se vuoi con te pochi partecipi della pace, avrai una pace ben limitata. Allora, che prezzo avrà quel bene che potrai possedere appena lo amerai? L’acquisto del nostro tesoro non richiede prezzo. Non devi andare in cerca di un protettore per conseguirlo. Eccolo lì dove tu sei: basta che ami la pace, ed essa istantaneamente è con te.

La pace è un bene del cuore e si comunica agli amici, ma non come il pane. Se vuoi distribuire il pane, quanto più numerosi sono quelli per cui lo spezzi, tanto meno te ne resta da dare. La pace invece è simile al pane del miracolo che cresceva nelle mani dei discepoli mentre lo spezzavano e lo distribuivano.

E intanto abbiate la pace tra voi, fratelli. Se volete attirare gli altri alla pace, abbiatela voi per primi; siate voi anzitutto saldi nella pace. Per infiammarne gli altri dovete averne voi, all’interno, il lume acceso. E tu, amico della pace, rifletti, e gusta per primo l’incanto della tua diletta. Ardi d’amore tu, così sarai in grado di attirare un altro allo stesso amore, in modo che egli veda ciò che tu vedi, ami ciò che tu ami, possegga ciò che tu possiedi.

È come se ti parlasse la pace, la tua diletta, e ti dicesse: Amami e mi avrai sempre. Attira qui ad amarmi tutti quelli che puoi: per un amore casto, integro e permanente; attira tutti quelli che puoi. Essi mi troveranno, mi possederanno, troveranno in me la loro gioia. Come non si altera la luce per quanti siano quelli che ne godono, così, anche se sono numerosi quelli che mi amano, non mi alterano. Quelli che non vogliono venire è perché non hanno occhi per vedere. Non vogliono venire perché il fulgore della pace abbaglia l’occhio malato della discordia.

Bisogna dunque procedere, nella cura, con precauzione, con delicatezza. Nessuno attacchi briga con loro. Nessuno voglia con la polemica difendere neanche la sua stessa fede. Dalla disputa può scattare una scintilla di lite ed ecco data l’occasione a chi la cerca. Insomma, se anche devi sentire un’ingiuria, tollera, sopporta, passa oltre. Ricordati che sei in funzione di medico.

Sei amico della pace? Allora sta’ interiormente tranquillo con la tua amata. “Così – dirai – non c’è da far nulla? “. Certo che hai qualcosa da fare: elimina i litigi. Volgiti alla preghiera. Non respingere dunque l’ingiuria con l’ingiuria ma prega per chi la fa. Vorresti ribattere, parlare a lui, contro di lui. Invece parla a Dio di lui. Vedi che non è esattamente il silenzio che t’impongo. Si tratta di scegliere un interlocutore diverso; quello al quale tu puoi parlare tacendo: a labbra chiuse ma col grido nel cuore. Dove il tuo avversario non ti vede, lì sarai efficace per lui.

A chi non ama la pace e vuol litigare rispondi così con tutta pace: “Di’ quello che vuoi, odia quanto vuoi, detesta quanto ti piace, sempre mio fratello sei. Perché ti adoperi per non essere mio fratello? Buono, cattivo, volente, nolente, sempre mio fratello sei “.

Le Parole di Giuseppe Dossetti

Discorso tenuto a Bologna il 22 febbraio 1986

Il monastero in questo è veramente un microcosmo, e se volete un laboratorio in cui si possano fare in scala ridotta esperimenti, che io penso, trasferibili in scale progressivamente più ampie.

È qui soprattutto che si dimostra la solidarietà del monaco con i problemi più universali e più travaglianti ogni età. Il monaco non può mai abdicare alla milizia incessante per l’amore verso il fratello, tanto più se pensa che nel suo cuore possano aggravarsi o attenuarsi le contese e i contrasti che lasciano nel mondo intero, a seconda della soluzione che egli dà al piccolo conflitto domestico.

Questo è un capitolo, forse, in gran parte ancora da scrivere, di quella educazione alla pace che da tante parti si auspica e si teorizza e si vorrebbe praticata.

I grandi conflitti che travagliano l’intero pianeta dal Centro, al Sud America, al Sud Africa, dall’Afganistan all’Eritrea, dal Sud-Est Asiatico; si riflettono in ogni istante nella mia coscienza che può essere divisa dal fratello nella mia stessa piccola comunità. E mi impongo una continua risposta positiva, un continuo superamento del mio egoismo che non vuole morire, e che pur sa ormai molto bene che in quest’estrema frontiera interiore, si gioca la riuscita e il fallimento della mia vita avanti a Cristo, e si gioca ad un tempo il mio reale contributo positivo o negativo alla salvezza storica del mondo, minacciato di distruzione totale nell’era atomica in cui viviamo.

Quando poi per giunta il mio Cenobio è anche materialmente collocato su una frontiera contesa e su uno dei punti più caldi del pianeta, come lo è di fatto, per me, per noi, a Gerusalemme e in Giordania, allora la coscienza di questa solidarietà fra il piccolissimo e l’universale diventa, o dovrebbe diventare, ancora più acuta e tradursi continuamente in una auspicio e in un impegno che per essere silenzioso e interiore non dovrebbe essere meno categorico e continuo.

Tanto più se non solo intorno a me, o intorno a noi, c’è sempre qualcuno che ci interpella in un senso o in un altro, ma se dentro di me, nella mia stessa coscienza si urtano ragioni ideali opposte, che mi fanno vivere dal di dentro tutto il conflitto che mi preme addosso dall’esterno.

Dal diario di Etty Hillesum

Per umiliare qualcuno si deve essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell’aria. Restano solo delle disposizioni fastidiose che interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna umiliazione e oppressione angosciose. Si deve insegnarlo agli ebrei… Possono renderci la vita un po’ spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po’ di libertà di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori con il nostro atteggiamento sbagliato: col nostro sentirci perseguitati, umiliati, oppressi, col nostro odio e la millanteria che maschera la paura. Certo che ogni tanto si può essere tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così.
E tuttavia: siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli. Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sè: e lavorare ‘a se stessi’ non è proprio una forma d’individualismo malaticcio. Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di trasformarlo in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo -. È l’unica soluzione possibile… Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra.

Etty Hillesum, Diario 1941-1943

Lettera di don Lorenzo Milani

Caro Pipetta,

ogni volta che ci incontriamo tu mi dici che se tutti i preti fossero come me, allora …
Lo dici perché tra noi due ci siamo sempre intesi anche se te della scomunica (1) te ne freghi e se dei miei fratelli preti ne faresti volentieri polpette. Tu dici che ci siamo intesi perché t’ho dato ragione mille volte in mille tue ragioni:

Ma dimmi Pipetta, m’hai inteso davvero?

È un caso, sai, che tu mi trovi a lottare con te contro i signori. San Paolo non faceva così.
E quel caso è stato quel 18 aprile (2) che ha sconfitto insieme ai tuoi torti anche le tue ragioni. E solo perché ho avuto la disgrazia di vincere che…

Mi piego, Pipetta, a soffrire con te delle ingiustizie. Ma credi, mi piego con ripugnanza. Lascia che te lo dica a te solo. Che me ne sarebbe importato a me della tua miseria?Se vincevi te, credimi Pipetta, io non sarei più stato dalla tua. Ti manca il pane? Che vuoi che me ne importasse a me, quando avevo la coscienza pulita di non averne più di te, che vuoi che me ne importasse a me che vorrei parlarti solo di quell’altro Pane che tu dal giorno che tornasti da prigioniero e venisti colla tua mamma a prenderlo non m’hai più chiesto.

Pipetta, tutto passa. Per chi muore piagato sull’uscio dei ricchi, di là c’è il Pane di Dio.
E solo questo che il mio Signore m’aveva detto di dirti. E’ la storia che mi s’è buttata contro, è il 18 aprile che ha guastato tutto, è stato il vincere la mia grande sconfitta.
Ora che il ricco t’ha vinto col mio aiuto mi tocca dirti che hai ragione, mi tocca scendere accanto a te a combattere il ricco.
Ma non me lo dire per questo, Pipetta, ch’io sono l’unico prete a posto. Tu credi di farmi piacere. E invece strofini sale sulla mia ferita.

E se la storia non mi si fosse buttata contro, se il 18… non m’avresti mai veduto scendere lì in basso, a combattere i ricchi. Hai ragione, sì, hai ragione, tra te e i ricchi sarai sempre te povero a aver ragione.

Anche quando avrai il torto di impugnare le armi ti darò ragione.

Ma come è poca parola questa che tu m’hai fatto dire. Come è poco capace di aprirti il Paradiso questa frase giusta che tu m’hai fatto dire. Pipetta, fratello, quando per ogni tua miseria io patirò due miserie, quando per ogni tua sconfitta io patirò due sconfitte, Pipetta quel giorno, lascia che te lo dica subito, io non ti dirò più come dico ora: “Hai ragione”. Quel giorno finalmente potrò riaprire la bocca all’unico grido di vittoria degno d’un sacerdote di Cristo: “Pipetta hai torto. Beati i poveri perché il Regno dei Cieli è loro”.

Ma il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò.

Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso. Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno d’un sacerdote di Cristo: “Beati i… fame e sete”.

1. La scomunica decretata nel 1948 dal Sant’Uffizio contro tutti quelli che aderivano al Partito Comunista.

2. Il 18 aprile 1948 la Democrazia Cristiana vinse le elezioni politiche.

La contemplazione

“Dal Sagrato alla Piazza”, Veglia di contemplazione e preghiera, guidata dalle Monache Agostiniane di Pennabilli, che si è svolta Sabato 4 settembre 2021 sul sagrato della Cattedrale di Pennabilli.

VIdeo – Introduzione allas Veglia

Di seguito il testo introduttivo della veglia. In fondo alla pagina il testo scaricabile.

Ritrovarci insieme in piazza (tra il sagrato e la piazza!) per pregare è uno di quei desideri che, per la sua particolarità, ha più il carattere di un sogno. Un sogno che oggi si realizza. In questo spazio così familiare avvengono tante attività del vivere quotidiano, a partire, crediamo, dalla più importante ed essenziale: incontrarsi. Oggi questo “incontrarsi” si apre e si estende ulteriormente: a noi, amiche e abitanti di questo bellissimo paese, e all’incontro con Dio nella preghiera. Per quanto sia impossibile definire cosa sia la preghiera (né lo vorremmo fare!) certamente essa desidera e agisce per INCONTRARE.

Questo pomeriggio siamo stati coinvolti in una camminata nella quale ciascuno ha potuto aprirsi all’esperienza della relazione con se stesso, con l’altro e con la natura. Ciò che esiste diventa significativo e prezioso per noi se… vissuto. Non basta che ci siano cose belle davanti ai nostri occhi. Dobbiamo poterle vivere. Quanti nostri fratelli e sorelle oggi, nel mondo, non hanno accesso alle cose belle della vita! Anche noi talvolta e per motivi diversi, fatichiamo. Questo pomeriggio abbiamo provato a esercitare i nostri sensi, accompagnarli, sentirci uniti a loro, cercando di essere disponibili a ciò che c’è attorno a noi.

Eppure stasera siamo qui sapendo e intuendo che ciascuna delle nostre persone possiede un altro senso… Tatto, olfatto, udito, vista non esauriscono ciò che noi possiamo e vogliamo sentire. I nostri stessi sensi desiderano sentirsi accompagnati da una benevolenza che li preceda e si offra a loro.

Il desiderio e il senso di questo mistero ci abita da sempre. Ci spinge a chinarci su ciò che è piccolo, ci traghetta verso le scelte più grandi. Oggi ci sporgiamo con tutto noi stessi verso ciò che si lascia dimenticare, senza rivendicare la sua presenza.

Vorremmo addentraci con voi, accompagnati da alcuni versetti della Bibbia, nel mistero di trovarci nella vita come dono ad essa, a cui si accompagna il mistero – pieno di promesse, eppur così drammatico – della nostra responsabilità.

La Bibbia non racconta un’unica storia, al contrario ne racconta tante e in modi e stili assai diversi, come potremo notare anche stasera. Le storie sono tante eppure vi è un filo rosso che le attraversa e le unisce: l’incontro tra l’uomo e il suo Dio per un’esistenza vissuta in pienezza e sensata. Perché amata.

In questa piccola piazza raccogliamo le nostre storie e quelle del mondo, per legarle le une alle altre, cercando in esse il profumo di Dio e del suo sogno.

Le Monache Agostiniane di Pennabilli


Primo momento: In principio

Dal libro della Genesi

In principio…. Dio disse…

Genesi 1,1.3

Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere.

Genesi 2,1

… Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.

Genesi 2,7

Discernimento, lingua, occhi, orecchie e cuore diede loro per pensare… Pose davanti a loro la scienza e diede loro in eredità la legge della vita.

Siracide 17,6.11

Dopo aver riflettuto, parlerò ancora, sono pieno come la luna nel plenilunio. Ascoltatemi, figli santi, e crescete come una rosa che germoglia presso un torrente. Come incenso spargete buon profumo, fate sbocciare fiori come il giglio, alzate la voce e cantate insieme, benedite il Signore per tutte le sue opere.
Magnificate il suo nome e proclamate la sua lode,
con i canti delle labbra e con le cetre, e nella vostra acclamazione dite così:
quanto sono belle tutte le opere del Signore!

Siracide 39,12-16

Secondo momento: Seminate!

Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.

Genesi 2,15
Si può fare

Così ogni artigiano e costruttore… così il fabbro che siede vicino all’incudine ed è intento al lavoro del ferro…così il vasaio che è seduto al suo lavoro e con i suoi piedi gira la ruota… Senza di loro non si costruisce una città…essi assi-curano la creazione eterna e il mestiere che fanno è la loro preghiera.

Siracide 38, 27-34

Fabbricheranno case e le abiteranno, pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto.

Isaia 65, 21

Disse loro: “Guardatevi da ogni ingiustizia!” e a ciascuno ordinò di prender-si cura del prossimo.

Siracide 17, 14

Seminate per voi secondo giustizia e mieterete secondo bontà; dissodatevi un campo nuovo, perché è tempo di cercare il Signore.

Osea 10, 12

Principio di ogni opera è la parola, prima di ogni azione c’è la riflessione. Radice di ogni mutamento è il cuore, da cui derivano quattro scelte: bene e male, vita e morte…

Siracide 37, 16-18

Terzo momento: La relazione negata

Venite e godiamo dei beni presenti,
gustiamo delle creature come nel tempo della giovinezza!
Saziamoci di vino pregiato e di profumi,
non ci sfugga alcun fiore di primavera,
coroniamoci di boccioli di rosa prima che avvizziscano;
nessuno di noi sia escluso dalle nostre dissolutezze.
Lasciamo dappertutto i segni del nostro piacere,
perché questo ci spetta, questa è la nostra parte.
Spadroneggiamo sul giusto, che è povero.

Sapienza 2,6-10

Il Signore disse a Caino: “Dov’è Abele, tuo fratello?”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?”.

Genesi 4,9

…Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra.

Genesi 6,5

Il mio popolo ha commesso due iniquità: hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l’acqua.

Geremia 2,13

Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”.

Vangelo di Giovanni 7,37-38

Miserere mei Deus secundum
magnam misericordiam tuam.


Quarto momento: LAUDATO SI’

Gesù si mise a parlare e insegnava loro: Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro…

Vangelo di Matteo 6,25-33

“Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami …Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uo-mo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo”.

Vangelo di Matteo 13,31-32.44

E ora benedite il Dio dell’universo, che compie in ogni luogo grandi cose, che fa crescere i nostri giorni fin dal seno materno, e agisce con noi secondo la sua misericordia. Ci conceda la gioia del cuore e ci sia pace nei nostri giorni in Israele, ora e sempre. La sua misericordia resti fedelmente con noi e ci riscatti nei nostri giorni.

Siracide 50, 22-24
Dolce Sentire

La camminata

Foto di Alessia Perrone

Un percorso immersi nella natura a partire dal Monastero delle Monache di Pennabilli, passando per l’Orto dei frutti dimenticati ed il suo labirinto, lungo i sentieri del bosco, fino al Mulino Donati e al fiume per terminare di nuovo all’Orto dei frutti dimenticati.

Un percorso con tratti da vivere in silenzio, in cui perdersi nel labirinto dell’orto dei frutti dimenticati, simbolo del labirinto interiore o stare in ascolto del bosco. Altri momenti in cui condividere emozioni e pensieri a coppie o in gruppo, lungo la strada.

Sentire il gorgoglio delle acque del fiume e fermarsi nel tratto che esprime meglio lo stato d’animo. Scegliere un albero che ci rappresenta ed abbracciarlo, stargli accanto, custodirlo e farsi custodire da esso. Starci in relazione.

Sullo sfondo l’icona biblica del cammino dei discepoli di Emmaus in cui ciò che si presenta, ciò che accade nel cammino, separa un “prima” ed un “dopo” ed è capace di imprimere la s-volta ai cammini delle persone, delle comunità…

Un’esperienza sensibile e sensoriale di pacificazione per vivere un’esperienza “liturgica” del/nel creato.

È stata questa la camminata vissuta dai partecipanti alla Summer School in un clima di amicizia e di fraternità che si è concluso con la condivisione di un gesto o di una parola esemplificativa dell’esperienza.

Immagini dalla Camminata

Le emozioni. Nei paesaggi della Laudato Si’

Don Marco Casadei

Riportiamo di seguito la traccia della “Attivazione emozionale nei paesaggi della Laudato Sii” guidata e curata da Don Marco Casadei e dalle Monache Agostiniane di Pennabilli. Testi della Meditazione di Don Davide Arcangeli.


Primo momento: le tenebre

In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. 

genesi 1,1-5

Siamo in molte. Dio ci ha create per ricoprire l’abisso e per mostrare la profondità del tutto. Siamo come una fossa oceanica, dove si va così in fondo che niente altro vi arriva, solo l’essere di Dio.

Noi lo custodiamo come la nube del deserto che ricopre la dimora: ne segnaliamo la presenza e insieme la nascondiamo ad occhi indiscreti.

Siamo come il velo che nasconde il volto di Dio, una cortina fitta posta a protezione dello scrigno d’amore che è a fondamento di tutto.

Siamo in molte e ciascuna con una sua funzione: c’è la tenebra del sonno e quella del grembo materno; c’è la tenebra della paura e quella delle incognite future; c’è la tenebra dei segreti inconfessabili e quella delle potenzialità nascoste; c’è la tenebra prima del concepimento e quella della morte.

Tutte noi sappiamo di essere limitate, nel tempo e nello spazio; siamo un passaggio di nubi, che protegge l’essere prima della sua esplosione d’amore. Siamo un vuoto primordiale, da cui scaturiscono a coppie particelle di energia. Siamo il lato oscuro di una nube, che mostra già l’altro lato luminoso, per il cammino dei poveri di Dio.

Siamo un punto di osservazione privilegiato, per vedere la successione dei giorni e delle stagioni: senza di noi infatti non vi sarebbe né alternanza, né tempo, né progresso. Noi osserviamo con meraviglioso stupore tutte le gigantesche separazioni della creazione: le acque superiori da quelle inferiori, la terra asciutta dalle acque; i germogli e le erbe, ciascuna secondo le loro specie; i pesci del mare e gli uccelli del cielo, secondo la loro specie; il bestiame, i rettili e gli animali selvatici, ciascuno secondo la sua specie.

Molti, fin da bambini, ci rifuggono, perché pensano di noi solo cose negative e vogliono essere rassicurati da una luce riconoscibile. Sono rimasti in fondo un po’ infantili, rinchiusi nello spazio angusto di un io che si difende e vuole essere lui l’autore della luce. Noi invece, custodi dell’inconscio, siamo la riserva di energia che allarga il cuore dell’uomo e lo muove verso inediti confini, verso un amore sempre più grande, sempre nuovo. Noi siamo custodi dello Spirito, che aleggia sulle acque della vita e le fa zampillare per la vita eterna. Noi siamo le vergini vestali del fuoco dell’amore, che muove i passi incerti di ogni uomo, verso la pienezza della sua esistenza.

LE TENEBRE

Le emozioni. Nei paesaggi della Laudato Si’

Anche il vuoto non è vuoto, ma dal vuoto – le nostre tenebre, la massa informe della creazione – può nascere qualcosa. Quali sono le mie potenzialità ancora inespresse?


Secondo momento: l’argilla

Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.

gENESI 2,7

Sono l’argilla del suolo. Ho visto nella mia lunga esistenza molti passaggi. Dalle stelle sono stata rifusa in minerali di ferro, dal sole sono stata riplasmata nei miliardi di anni, dalla terra sono stata effusa e asciugata e dall’acqua sono stata dilavata fino ad essere raffinata in particelle minute. Poi sono stata precipitata lungo fondali lacustri o marini e infine trasportata dalle correnti e continuamente rimacinata.

Ora mi trovo qui in un suolo senza vita, depositata da questa magnifica polla d’acqua, che continuamente sgorga e fluisce sulla terra. Non so perché sono stata creata e perché mi trovi qui, ma sento che questo continuo rimaneggiamento non è casuale. È come una mano che mi tocca e mi direziona, mi allarga e mi stringe, offrendomi una forma che continuamente varia verso una perfezione che non conosco.

Sono materia, ma ho capito che dentro di me ogni particella è già potenzialmente ricurva verso la vita. Sono fatta di energia radiale, che si orienta verso il centro, verso una coscienza di sé, verso una pienezza di vita consapevole. È come un soffio, che è mio e non è mio, perché lo ricevo come la parte più profonda di me. Da Dio. Sono nephesh haiah. Un essere che vive e che respira. Un’ anima che da forma a tutto. Un cuore che batte e percepisce. Muscoli e nervi che trasmettono movimento. Un volto che sorride alla vita e gode dei suoi doni.

Io sono ancora e pur sempre argilla, polvere del suolo, macinata dalla terra. Ma sono anche qualcosa di totalmente nuovo e diverso: un essere che vive, pensa, si comprende. Io stessa mi stupisco del mio stupore. Cosa sono diventata?

Posso dare un nome a tutto ciò che vive…ma perché mi sento così sola? Sento la tremenda necessità di un altro che mi comprenda, perché è come me. Saranno un’unica carne: ecco il mistero della vita, amore e relazione che si generano dall’argilla e dallo Spirito di Dio. Vedo il mio fianco dolorante, la mia ferita che mi apre all’altro, a sentirlo, ad amarlo, col suo dolore, con la sua lotta per l’esistenza. Sono pur sempre argilla, ma con la mia ferita d’amore ho scalato la montagna dell’essere e vivo di colui che ha preso forma da me e a me si è donato per sempre.

L’ARGILLA


Terzo momento: l’albero

 La donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò.

GENESI 3,6

Mi trovo al centro del giardino. Certo sono tanti gli alberi qui e forse ciascuno di loro ha un po’ diritto di sentirsi al centro. Ciò che conta è che siamo insieme, ciascuno nel suo centro, e siamo cresciuti nel tempo a partire da piccoli semi.

Io ritrovo le mie radici ben salde nel terreno, radicato in un suolo ricco d’acqua e di nutrimenti, da cui ricavo ogni giorno una linfa preziosa per la mia continua crescita verso l’alto.

Avere radici è come avere identità: è una storia che mi ha preceduto a fornirmi le coordinate per il mio sviluppo, a darmi la resistenza profonda e gli atteggiamenti giusti nei confronti della vita. Certo, non sempre il terreno è buono e talvolta le mie radici hanno dovuto spostarsi per poter trovare la giusta umidità. Questo mi dà coraggio, la forza della vita che mi precede ha in sé un innegabile spirito di ricerca e autoconservazione, che opera dentro di me.

Essa fluisce come linfa nel mio tronco e grazie alla capillarità dei miei vasi, grazie alle strettoie della vita in cui sono passato, essa ha potuto risalire verso l’alto e farmi fiorire nei rami. Ho dovuto difendermi con una buona corteccia, ma solo per conservare meglio il legno dolce di cui sono costituito. Poi la vita si è come ramificata, in tante scelte ed esperienze che, come rami, hanno arricchito la mia chioma. Alcune sono terminate, altre stanno ancora crescendo, verso l’alto. Ma tutte offrono ancora fiori e frutti a chi li vuol contemplare e raccogliere per sé.

Così anch’io mi faccio dono e in questo modo cresco verso il cielo: ricevendo la vita da Colui che me la dona a partire dalle mie radici, anch’io la dono crescendo verso l’alto, verso la luce, e più mi avvicino e ne sento il calore e godo della brezza mattutina, più imparo a conoscere la bontà senza fine di questa luce originaria.

Conosco il bene ma, purtroppo anche il male, quando sento sui miei frutti uno sguardo di possesso, ingordigia, egoismo come se essi non venissero donati gratuitamente. Come se qualcuno ci stesse ingannando e mi avesse creato solo per divertirsi alle spalle di chi i miei frutti li può vedere ma non toccare. Ma tutti li possono toccare e anche mangiare, perché anch’io li ho ricevuti così da Dio. Chi mai ha potuto ingannare e ribaltare il comando originario? Esso dice solo che noi siamo fatti per ricevere, gratuitamente, la vita che proviene da Dio e se cerchiamo di goderla autonomamente la facciamo morire. Esso invita a toccare e mangiare, sperimentando il dono di Dio e il suo amore nel nostro cuore. Perché gli uomini vogliono possedere per paura di perdere, come se non fosse già stato tutto donato loro? Chi ha messo loro nel cuore questo sospetto?

L’ALBERO

Le emozioni. Nei paesaggi della Laudato Si’

Puoi immaginarti come un albero, con una postura particolare (piegato in due, disteso, speranzoso…). Che albero sei?

L’Albero – Opera di Sr Francesca Serreli, Monaca Agostiniana di Pennabilli

Quarto momento: la terra

Caino disse al fratello Abele: «Andiamo in campagna!». Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise.

genesi 4,8

Raccolgo il sangue come una coppa, me ne intrido in tutti i miei pori e piccoli canali, lo succhio imbevendomi tutta di questa vita che non c’è più: Abele, hevel, soffio inconsistente che va e non ritorna. Io accolgo il tuo sangue per gridare a tutto il mondo che non è vero che tu sei inconsistente! Tu sei, la tua vita è vera e reale, la tua carne e il tuo sangue esistono e io ne ho le prove. Io grido per dimostrare davanti a Dio a tutti gli uomini che la tua esistenza c’è e ci sarà sempre e nessuno potrà mai cancellarti. Anche se sei morto e poi bruciato in uno dei tanti campi di sterminio della storia, anche se sei scomparso negli abissi del mare, in uno dei tanti viaggi di fortuna, anche se sei sepolto sotto di me, in una delle tante trincee di guerra del nostro mondo, tu sei e io grido con tutta la forza del tuo sangue che tu esisti ancora.

Lo grido prima di tutto a Dio, perché ascolti la mia voce, lui che è giusto e misericordioso. Poi lo grido a tutta la creazione di Dio, perché anch’essa si ribelli, provochi disordine, mostri all’uomo quale conseguenza nefasta ha la violenza da lui scatenata: la distruzione delle differenze, la rottura degli equilibri delle acque, il ritorno al caos primordiale. Che l’uomo capisca che la violenza provoca violenza e distrugge il progetto originario di Dio!

Io grido a Caino, che per ritrovare sé stesso, deve trovare il suo fratello, tornare a farsene custode, pastore, amico. Io grido a Caino tutta la fatica che dovrà fare, per lavorare il suolo e ricordarsi ogni giorno di suo fratello, riscattando così il tremendo peso della sua responsabilità. Io grido ad ogni uomo che nessuno tocchi Caino! Si fermi così la spirale del male, si taglino alle fondamenta le catene dei condizionamenti che portano l’uomo a produrre altro male. Solo così egli potrà espiare la sua colpa e riscattare sé stesso, con il prezzo della sua fatica. Egli capirà l’importanza di dominare la bestia, accovacciata alla sua porta. Egli capirà che l’equilibrio del terrore non è vera pace, ma solo un fragile sentiero pericoloso, sempre suscettibile di cedere all’abisso delle tensioni contrapposte e alla possibilità di una distruzione totale.

Io custodisco il sangue di Abele e con questo sangue grido all’uomo: fermati e non distruggerti, guarda a questo sangue che ti redime e convertiti alla vita! Finalmente!


Le emozioni. Nei paesaggi della Laudato Si’

Cerca di entrare nei panni di Caino con la sua invidia, il rapporto con il padre. Poi nei panni di Abele che si sente favorito, ma che attira le gelosie degli altri. Infine nei panni del Padre.


Ripresa visiva

L’urlo del sangue innocente, dall’origine della vita e della storia, grida a noi dalla terra. È un grido che risuona lasciato solo nella notte, e rimbomba dal cielo, nei volti dei tanti innocenti che dall’inizio della storia attendono risposta.

C’è bisogno che qualcuno risponda al grido, e salvi la vita dalla caduta nell’insensatezza.

Ma chi è in grado di ascoltarlo?

“Ascolta, Israele…”

Poi venne, e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti…

È Gesù Colui che risponde, Colui che ascolta tutto il grido che dal cielo gli è consegnato dal Padre e si lascia restare sveglio, insonne, nel Getzemani. Facendosi calice accogliente.

È Colui che unisce il suo urlo e il suo sangue sudato, a quello degli innocenti della storia, patendolo e lasciandolo cadere nell’abisso della terra.

È Colui che sceglie di farsi carico di quell’urlo, lasciandosi sprofondare SLIDE 6 in quell’abisso per riscattare e dare senso a tutto il sangue che era sprofondato nell’insensatezza.

È Gesù, albero tra gli alberi, che fa del suo corpo l’albero, la croce.

Getsemani – Dipinto di Sr Elena Manganelli, Monaca Agostiniana di Pennabilli

Il Parco Simone e Simoncello

Il Giardino del Montefeltro

Anna Rita Nanni – Ente Parco Sasso Simone e Simoncello

L’Ente Parco Sasso Simone e Simoncello è un parco naturale ed Interregionale ed è nato nel 2013 da un’intesa tra le regioni Emilia-Romagna e Marche ed è situato nelle Province di Pesaro-Urbino e Rimini nel territorio del Montefeltro. Il territorio di competenza ricade su sei comuni – Carpegna (PU), Frontino (PU), Montecopiolo (PU), Piandimeleto (PU), Pietrarubbia (PU), Pennabilli (RN) – e ricopre un’area di 4791 ettari.

http://www.parcosimone.it/

Laudato Si’ come progetto educativo

Laudato Si’ come progetto educativo. Conferenza del Prof. Domenico Simeone – Università Cattolica

Educare ad una spiritualità ecologica. Di seguito pubblichiamo un estratto della conferenza tenuta dal Prof. Domenico Simeone dell’Università Cattolica a conclusione della Summer School. In fondo alla pagina puoi ascoltare la traccia audio del suo intervento.

È bella l’idea di Don Milani quando dice che il maestro è colui che aiuta i ragazzi a vedere ciò che lui non vedrà. Abbiamo un’idea di educazione legata alla trasmissione di qualcosa che noi conosciamo bene e che pretendiamo che anche gli altri conoscano in questo modo. Qua c’è un’idea di educazione generativa e non conservativa. Quello che noi conosciamo lo mettiamo a disposizione di chi sta crescendo non perché conosca le stesse cose, ma perché possa ampliare la conoscenza, perché possa conoscere qualcosa che noi non conosciamo. È un atteggiamento molto simile a quello di Abramo e di Mosè, che si mettono in cammino e stabiliscono un’alleanza, che vivono anche i momenti del dubbio e della difficoltà, fanno un percorso, un itinerario senza conoscere la meta, fidandosi della relazione con Dio. Non potranno gustare l’esito di quel cammino. Si fermeranno sulla soglia della terra promessa. Questo è il compito di ogni educatore: fermarsi sulla soglia e non avere la pretesa di entrare.

Domenico simeone

Vi auguro di conservare un orecchio acerbo perché possiate sempre ascoltare gli alberi, gli uccelli, le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli, i bambini perché da loro abbiamo molto da imparare.

Domenico simeone

Un signore maturo con un orecchio acerbo

Un giorno sul diretto Capranica-Viterbo
vidi salire un uomo con un orecchio acerbo.

Non era tanto giovane, anzi, era maturato
tutto, tranne l’orecchio, che acerbo era restato.

Cambiai subito posto per essergli vicino
e potermi studiare il fenomeno per benino.

Signore, gli dissi dunque, lei ha una certa età
di quell’orecchio verde che cosa se ne fa?

Rispose gentilmente: – Dica pure che sono vecchio,
di giovane mi è rimasto soltanto quest’orecchio.

È un orecchio bambino, mi serve per capire
le voci che i grandi non stanno mai a sentire:


ascolto quello che dicono gli alberi, gli uccelli,
le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli,

capisco anche i bambini quando dicono cose
che a un orecchio maturo sembrano misteriose…

Così disse il signore con un orecchio acerbo
quel giorno, sul diretto Capranica-Viterbo.

GIANNI RODARI

Le opinioni

Paola Bignardi
Dott.ssa Paola Bignardi

Paola Bignardi commenta i dati relativi ad un’indagine dell’Osservatorio Giovani Toniolo sul rapporto “Giovani e ambiente” e si confronta in merito con alcuni giovani del territorio. Di seguito pubblichiamo il materiale che è stato oggetto del dibattito.

Guarda il video con le interviste
Guarda il video con le interviste
Guarda il video
La Sfida dei giovani

I giovani intervistati

Le esperienze

I giovani del territorio, da punti di vista diversi, raccontano la loro esperienza di custodia dell’ambiente ed un diverso stile di abitare.


Ambiente, educazione e cultura

Veronica Guerra – Guida ambientale ed escursionistica

Veronica Guerra, guida ambientale ed escursionistica e dottoressa in scienze della terra ha raccontato l’attività dell’associazione Chiocciola – la casa del nomade che si occupa di educazione “nel paesaggio, con il paesaggio, per il paesaggio“.
L’associazione gestisce il Museo ha preso l’incarico di gestire e valorizzare il Museo Naturalistico / Centro di Educazione Ambientale e alla Sostenibilità dell’Ente Parco Sasso Simone e Simoncello, un museo vivo perché impegnato nella ricerca, nella formazione, nel coinvolgimento degli abitanti e degli esperti locali, nel creare rete con chi, provenendo da altri contesti, porta nuove visioni.

www.musss.it
www.parcosimone.it

Attorno al museo cerchiamo di fare un lavoro di crescita della comunità che ha come scopo l’educazione e che ha come attori la scuola, le istituzioni, ma anche l’intera comunità con le sue buone pratiche, le sue esperienze. Con un lavoro di rete si cerca di coniugare la vita dell’abitante con tutto ciò che è rappresentato dal mondo esterno.

Veronica Guerra – Chiocciola – La casa del nomade

Un diverso senso

Sr Giulia Vannini – Monaca Agostiniana di Pennabilli

Di seguito si riporta l’intervento di Sr Giulia Vannini delle Monache Agostiniane di Pennabilli.

Per poter parlare di autentico sviluppo, occorrerà verificare che si produca un miglioramento integrale nella qualità della vita umana” Laudato Sii n.147

La prospettiva da cui parto è questa: quello di cui parlerò non è strettamente legato all’ambiente se lo intendiamo solo come natura, ma proprio all’ambiente come vita umana. Per quello che ho potuto vedere in questi anni la vita monastica punta proprio sul rendere la vita più umana.

Tutto quello che dirò parte dalla prospettiva dell’ascolto. In questi anni ho potuto vedere e sperimentare come tutto ciò che viviamo parte dallo stare in ascolto della vita che ci raggiunge, delle persone e da ciò che vivono, della nostra vita e poi della vita della chiesa e del mondo. Tutto per noi nasce proprio dallo stare in ascolto, non dal vivere una vita che è già tutta decisa, che va avanti uguale da secoli e che non ha bisogno di cambiare. Noi abbiamo scelto, e sempre dobbiamo riscegliere perché non è automatico, di stare in ascolto della vita intorno a noi e dentro di noi. In questo stare in ascolto sono nate e stanno nascendo delle cose molto belle, che già c’erano e che con le nostre vite personali stanno crescendo.

Il primo aspetto di cui vorrei parlare è il lavoro. Quando sono entrata in questa comunità ho trovato una comunità che aveva scelto di investire sul lavoro. Da sempre i monasteri hanno investito sul lavoro. Queste monache però stavano investendo su un lavoro di donne di oggi, contemporanee. Quindi non più il ricamo o cose che le monache da sempre hanno fatto, ma su un lavoro che fosse un lavoro di oggi.

Noi abbiamo un laboratorio di falegnameria, di vetrate artistiche, e inoltre sr Elena è scultrice e artista a tutto tondo e introduce anche noi in questo suo lavoro. Il lavoro per me innanzitutto è la possibilità di imparare un lavoro manuale, fatto con le nostre mani e questo è moto bello perché ci trasmettiamo il sapere l’una all’altra. In questo momento io mi sento più dalla parte di chi riceve. Grazie alle monache anziane che hanno messo da parte i loro risparmi e hanno conservato gli spazi, oggi noi possiamo fare i lavoro che facciamo. E poi grazie alle sorelle più adulte che già prima o negli anni hanno imparato un mestiere, sono nati i laboratori che abbiamo. È bella questa trasmissione del sapere nelle generazioni dove ognuna cerca di aggiungere un pezzo, perché il lavoro non sia solo lavoro, ma sia anche bello, ben fatto per chi lo compra. Inoltre nel lavoro vedo anche una grandissima possibilità per noi di sentirci e di essere uguali a tutti gli uomini e le donne del mondo. Anche noi come tutti se non lavoriamo non guadagniamo e non viviamo. Per quanto non lo viviamo con l’affanno di una ditta, perché lo scegliamo insieme e siamo insieme a viverlo, anche a noi la vita richiede di lavorare, come a tutti gli uomini.

Rispetto al lavoro sento anche bellissimo che qui quello che si rompe si ripara: la madre Veronica in questo è la nostra maestra, che da anni continua a riparare le cose e gli oggetti senza buttarli. Non solo si ricicla, ma si ripara, e anche questo è impegnativo perché richiede tempo e capacità per imparare a farlo.

Un altro aspetto che sottolineo è l’ospitalità, che sembrerebbe distante dal tema dell’ambiente, ma per me è una parte della nostra vita molto importante. In questi anni per noi l’ospitalità sta diventando uno stile di vita: ospitare vuole dire accogliere le persone che stanno qualche giorno qui da noi, come anche chi suona al campanello o la persona che viene a vendere alla porta… tutta è ospitalità. L’ospitalità ci insegna a smuoverci dalla nostra posizione, ci aiuta a cambiare i programmi perché le persone non sono ma come le vorremmo, ci aiuta a farci occupare e raggiungere dall’inaspettato, dentro e fuori di noi. Ovviamente bisogna voler farsi raggiungere, non è automatico.

A me ospitare sta anche insegnando a vivere io da ospite. Mi aiuta pensare che anche la nostra vita, la vita di tutti, è una vita che noi viviamo da ospiti. Infondo, principalmente, significa che nulla è mio, privato. Che si vive avendo tutto, ma niente lo possiamo possedere. E questo è un modo di vivere anche nell’ambiente, nel mondo, che tutti potrebbero vivere: quello cioè di non considererai nulla come proprietà privata. Addirittura Dio nella Bibbia nega ogni pretesa di proprietà assoluta: “Le terre non si potranno vendere per sempre perché la terra è mia e voi siete presso di me come stranieri e ospiti” Lv 25,23. Le terre sono di Dio per essere di tutti, Dio garantisce che la terra sarà sua, ma perché sia di tutti.

A questo lego l’ultimo punto, a questo non possedere nulla lego il modo in cui noi viviamo la povertà. La povertà si può vivere in tanti modi, io qui ho trovato un modo che da subito mi ha innamorato. La povertà già l’avevo conosciuta per altre strade, ma in questa vita c’è una specificazione particolare: la povertà noi la viviamo come condivisione. Agostino nella Regola assicura che non ci mancherà nulla, che avremo tutto perché tutto sarà dato secondo il bisogno di ognuno. Già questa non è una cosa da poco, è anche il privilegio di vivere in una comunità, non solo monastica, ma potrebbe e dovrebbe esserlo anche una comunità civile. Questo tutto che avremo, però, dice Agostino, sarà tutto in comune. Niente sarà privato. Noi non viviamo una povertà estrema, viviamo una vita semplice, non tanto però come assenza di cose, ma come condivisione totale. Investire su una vita che sia tutta condivisa non è poi così facile, perché non riguarda solo le cose, ma anche le relazioni, la propria vita interiore e personale, lo spazio, il tempo. Questo ci responsabilizza poi a vivere anche quello che è comune come la cosa principale. Sempre Agostino nella Regola ci richiama a vivere e ad affezionarsi a ciò che è comune, ad interessarsi all’interesse comune. Questa cosa è molto difficile: farsi occupare da quello che è comune prima che da quello che è mio, che mi riguarda, non è semplice, ma è come una restituzione di tutto quello che ricevo come dono.

Tutto questo, come ho detto prima, nasce dall’ascolto, delle persone, del mondo, della chiesa. Davvero crediamo che Dio parla lì, parla solo lì. L’ascolto ci decentra, realmente è l’unica cosa che ci permette di far entrare altro e decentrarci solamente da noi. Per ascoltare serve anche il silenzio, che è un’altra dimensione importantissima della nostra vita, ancora tutta da imparare e da vivere per me. L’ascolto credo sia la cosa che ci caratterizza di più e che ci chiede una continua conversione, come a dire: non vi accontentate mai di dove siete arrivate, ma state continuamente in ascolto della vita.


Un diversa economia

Roberto Baldani – Cooperativa Agricola & Sociale Sora Madre Terra

Roberto Baldani in rappresentanza della Cooperativa Agricola & Sociale Sora Madre Terra immersa tra le splendide colline dell’Alto Montefeltro ha parlato di un nuovo modo di fare economia con l’opera di numerosi imprenditori agricoli che collaborano nella coltivazione dei campi, nell’allevamento degli animali – alpaca, ma anche asinelli e pony, papere, oche, galline e piccoli rapaci – nella tutela del territorio e nella produzione di prodotti tipici locali.

La Cooperativa ha sede presso il Convento Francescano di Montefiorentino di Frontino (PU). in cui sorge anche la Fattoria didattica “Il Sogno” che accoglie gruppi, famiglie e scolaresche che vogliono conoscere meglio il mondo contadino e le sue attività.

I luoghi devono essere custoditi così come i sogni, altrimenti muoiono.

Roberto baldani

Un diverso modo di far politica

Elena Vannoni – Vice sindaco di Novafeltria

Elena Vannoni racconta la sua esperienza politica, le motivazioni che l’hanno spinta ad occuparsi attivamente di politica ed alcuni progetti da lei avviati in termini di custodia delle persone e del territorio.

Come diceva Don Agostino Gasperoni prima di fare la carità si deve fare la giustizia

Elena vannoni

Acqua, un bene comune

Federica Natalia Rosati – Ricercatrice dell’Università di Bruxelles

Federica Natalia Rosati, ricercatrice dell’Università di Bruxelles racconta la sua attività di ricerca sulle modalità di accesso all’acqua in alcuni Paesi in via di sviluppo, in particolare Vietnam e Bolivia offrendo uno sguardo che analizza i sistemi idrici per scoprire l’orizzonte sociale e collettivo che in essi è sotteso.

Il tema dell’acqua è fondamentale se pensiamo all’esaurimento di una risorsa che dal 2010 è stat riconosciuta come diritto umano e che è in progressiva diminuzione. Ad oggi ancora una persona su 10 al mondo non ha accesso all’acqua potabile e uno su tre non ha accesso a servizi sanitari di base.

federica natalia rosati

Un diverso abitare

Nicola Ianni – Agronomo-forestale e guida escursionistica ambientale

Nicola Ianni descrive la sua esperienza di lavoro e condivisione nell’orto della biodiversità di Casa Fanchi, borgata di Pennabilli che si trova all’interno del Parco Simone e Simoncello ed in cui l’ente parco ha finanziato la ristrutturazione della piazza e della parte esterna della chiesa. “Il giardino della biodiversità” nasce dall’esperienza di un gruppo di persone, in particolare Guerrino Fanchi che, nel tempo, hanno conservato sementi, vigne e alberi di frutto di qualità antiche, tenendo vivo un orto ed uno spazio di socialità e coinvolgendo negli ultimi anni un gruppo di giovani laureati che hanno scelto di ripopolare il borgo e di coltivare e custodire i campi.

Casa Fanchi è un borgo di Pennabilli dove fino a pochi mesi fa vivevano 3 persone e più di 30 animali. A marzo sono tornato a vivere qua. Quando studiavo a Bologna, una città nemica dell’ambiente, nei momenti liberi venivo a Casa Fanchi perché stavo bene. Potevo lavorare nell’orto, raccogliere le mele, vedere un bellissimo tramonto, stare insieme a delle persone con un ritmo di vita diverso. Terminati gli studi da agronomo ho trovato un’enorme soddisfazione nella fatica del dissodare un piccolo pezzo di terra e nel recupero dell’orto iniziato da amici. L’orto ora è cresciuto in modo esponenziale. L’area di Casa Fanchi è un luogo di vita agricola alternativa basato sulla povertà e la condivisione in cui la condivisione è l’unica via di ricchezza. Si può passare dalla povertà alla ricchezza tramite la condivisione di tutto ciò che abbiamo intorno.

Nicola ianni